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Tari: errori di calcolo e sovrattasse

Continua il caos per il pagamento delle aliquote Tari: in alcuni Comuni si è verificato un aumento indebito sulla tasse dei rifiuti che ha coinvolto  le pertinenze sciolte (ovvero quelle possedute da chi risiede in altri Comuni) e quelle non unitamente accatastate all’abitazione (box, solai e cantine, per lo più).

Ciò ha condotto ad un appesantimento della bolletta per un ammontare, stima il segretario della Uil Guglielmo Loy, del 5% in più (in media 16 euro). In altri casi però, sebbene si siano verificati in numero ridotto, l’aggravio è stato del doppio e dovuto ad un errore di calcolo: l’ente ha fatto pagare la quota variabile su ogni pertinenza anziché una tantum sul cumulativo dell’abitazione e delle pertinenze.

I contribuenti e il Codacons continuano a tuonare: tasse in aumento che non piacciono a nessuno (vedi quella sui sacchetti della spesa), ma che non creerebbero tante turbolenze se ammontassero, per lo meno, al giusto spettante.

Errore calcolo Tari: come chiedere il rimborso

Il primo passo da fare per esser certi di aver pagato più del dovuto è quello di esaminare nel dettaglio le voci della tariffa che compaiono sull’avviso di pagamento. Se oltre alla voce “domestica-componenti”, cui segue il numero degli occupanti, sono presenti altre diciture come “domestica-accessori” o “domestica pertinenze” seguite anch’esse dal numero di componenti, significa che la cifra richiesta è stata aumentata rispetto a quella che spetterebbe per legge: in parole povere, la parte variabile (composta dal numero degli occupanti) è stata applicata ad ogni pertinenza.

Il contribuente quindi, dopo aver verificato la propria posizione, può chiedere il rimborso o la compensazione sulla tassa dell’anno successivo. Si hanno cinque anni di tempo per presentare le domande, quindi chi oggi ha avuto una bolletta “gonfiata” può controllare quelle dei cinque anni precedenti e, se fosse stato “vittima” di sovrattassa anche in passato, richiedere un rimborso totale.

In linea teorica il Comune dovrebbe provvedere al versamento della quota entro 180 giorni, ma in pratica il più delle volte non arriva alcuna comunicazione perché l’ente utilizza il silenzio quale forma di rifiuto. In quest’eventualità, si hanno 60 giorni per proporre ricorso alla commissione tributaria provinciale territorialmente competente.